Follow on Facebook
jtemplate.ru - free extensions for joomla

Marina Fulgeri
Oltre la fotografia

Intervista a cura di Daniela Lotta
ARTE E CRITICA N. 33
Gennaio-Marzo 2003



Daniela Lotta – Di recente hai presentato a Milano, negli spazi di “Care of”, un progetto dal titolo: Tutto previsto – tutto calcolato, articolato in diversi elementi che convergono a creare la suggestione di un pericolo imminente. Una sorta di stato di emergenza controllata, opportunamente orchestrata in modo da stimolare – e quindi osservare – le reazioni dell'individuo. Come è nata l'idea di questo intervento?

Marina Fulgeri – Il progetto Tutto previsto – tutto calcolato, per la mostra Punto di fuga, curata da Mariarosa Sossai, è nato e si è “modellato” direttamente sullo spazio della galleria. Non si tratta più di realtà o illusione, non più di reale o virtuale, ma di un reale manipolato e manomesso che ci pone di fronte alla nostra impossibilità, e alla continua tensione verso un “arrivare”.
Ho usato il termine “modellato” proprio perché è stata edificata, nella parete centrale, una enorme porta di sicurezza in muratura, che presenta una maniglia antipanico, però ad una altezza doppia rispetto a quella normale. Tutto sembra a prima vista normale, sembra non accadere nulla, invece le luci all’apparenza normali sono in realtà dispositivi d’emergenza accesi e i cartelli segnaletici sono opposti – l’uno indica l’altro – in modo da creare una sensazione di spaesamento. La direzione non è ben chiara e la dimensione temporale risulta sospesa.
Come il “non” arrivare ad aprire la porta di sicurezza, il “non” capire dove si trova l’uscita, così anche il continuo scendere dell’ascensore è un “non” salire mai, portano in essi un’impossibilità che contraddice la loro stessa presenza: negano ciò che invece dovrebbero garantire.
La linea di separazione tra il pericolo e la normalità è sottilissima.

D. L. – Anche quando realizzi installazioni come questa, in cui ti servi di linguaggi espressivi diversi da quello proprio della fotografia, la tua ricerca è sempre fortemente legata allo specifico del mezzo fotografico. Penso al progetto per lo spazio “Toast” della galleria Biagiotti di Firenze, o a quello visto a Castel S. Pietro per la mostra Almoust Famous, come per l'installazione presentata alla galleria “T293” di Napoli. In tutti questi l'uso della luce funziona per sottolineare una particolare visione dell'opera: letteralmente, "mette in luce" ciò che per te è rilevante. In un certo senso, anche quando non utilizzi la fotografia crei comunque opere dal forte intento fotografico, sia nel taglio che nella scelta del punto di vista. Questo tuo particolare rapporto con il mezzo fotografico è riscontrabile anche nel video presentato a Milano, dove scegli un’immagine centrale a camera fissa.

M. F. – Negli interventi site-specific l’installazione pone il luogo stesso sotto “un’altra” luce, senza modificarlo fisicamente, ma solo visivamente; l’intervento spesso è minimo, ma l’impatto risulta a volte addirittura opposto, come nel caso dell’installazione luminosa per Castel S. Pietro, I need a change of air, dove il cerchio luminoso che girava continuamente in tutta l’area del cortile creava la terribile sensazione di una